Settembre n°3 2022

Foto: Archivio Cobat, Adobe Stock

La possibilità di riutilizzare questi accumulatori può retroagire positivamente sul costo iniziale del veicolo a emissioni zero, favorendone la competitività sul mercato.

Da diversi anni si sente sempre più spesso parlare dell’opportunità di riutilizzare le batterie a fine vita delle auto elettriche per nuove applicazioni, soprattutto nell’ambito dell’accumulo energetico, generando quindi un processo virtuoso che estendendo la vita utile della batteria determini dei benefici da un punto di vista ambientale, sia per l’evitato sfruttamento di materie prime, sia per la possibilità di diluire su un doppio ciclo di vita i costi e gli impatti ambientali dell’attività di riciclo e recupero finali.

La possibilità di un riutilizzo di queste batterie, inoltre, può retroagire positivamente sul costo iniziale del veicolo elettrico favorendone la penetrazione sul mercato.    

Tale opzione, anche nota come “second life”, si basa sulla constatazione che una batteria da trazione a ioni di litio impiegata da un’auto elettrica o ibrida, quando dopo circa 8-10 anni viene dismessa dal veicolo in quanto non più in grado di garantire le performance prestazionali iniziali, possiede una capacità di carica residua (circa pari al 70-75%), che la rende ancora idonea ad un utilizzo in un sistema di storage energetico.

La richiesta di accumulo energetico è certamente destinata a crescere sensibilmente nel prossimo futuro per il forte incremento atteso nello sviluppo delle energie rinnovabili, le quali, dipendendo da fattori naturali esogeni (insolazione, ventosità, ecc.) hanno necessariamente bisogno di sistemi di storage dove l’energia prodotta possa essere immagazzinata, da un lato per una sua più adeguata cessione alla rete (stabilizzazione del flusso), dall’altro per la sua conservazione nei momenti in cui la produzione di energia è superiore alla richiesta (per l’eolico, ad esempio, la fase notturna).

La disponibilità crescente nei prossimi anni di batterie a fine vita provenienti dai veicoli elettrici sembra pertanto incrociare positivamente la necessità, anch’essa crescente, di sistemi di storage in affiancamento alla produzione di energia da fonti rinnovabili.

Tuttavia, la possibilità del riutilizzo delle batterie dei veicoli elettrici per applicazioni secondarie nell’ambito dell’accumulo energetico è più complessa di quanto sembri.

Il modo più semplice è quello di utilizzare il pacco batteria dismesso dal veicolo esattamente com’è, realizzando un sistema di storage che utilizzi un numero di batterie sufficiente a raggiungere le potenze richieste.

È quanto è stato fatto, ad esempio, nello stadio Johan Cruijff ArenA di Amsterdam, in cui l’energia prodotta da un impianto da 3 megawatt, realizzato con 4.200 pannelli fotovoltaici installati sul tetto dello stadio, viene accumulata in un sistema di storage composto da 148 batterie “second life” provenienti da Nissan Leaf.

Questa è sicuramente la soluzione più semplice ma può non essere la più efficiente, innanzitutto perché per un buon funzionamento del sistema è opportuno ricorrere a batterie di partenza quanto più omogenee possibili (ad Amsterdam, infatti, sono state utilizzate batterie di un solo modello di auto); inoltre, anche lo stesso modello di batteria proveniente da due diversi veicoli può aver avuto una storia pregressa completamente diversa, ad esempio nel numero di cicli di carica e scarica totalizzati, nelle sollecitazioni meccaniche subite, nello status delle singole celle, e non essendo possibile determinare questi fattori senza smontare il pacco si rischia di utilizzare delle batterie che potranno avere una performance molto diversa, rischiando di compromettere l’efficienza del sistema complessivo.

È ormai piuttosto diffusa la convinzione che per la realizzazione di un efficiente sistema di storage “second life” si debba procedere con lo smontaggio del pacco batteria originario (previa verifica di massima del pacco stesso) e all’estrazione delle singole componenti di accumulo, che possono essere le singole celle (in caso ad esempio di grandi celle prismatiche) o i moduli di celle (in caso ad esempio di più piccole celle cilindriche), onde poterne verificare, in modo appropriato, lo stato di salute generale e testarne le capacità elettrotecniche residuali.

È importante rimarcare che mentre i pacchi batteria di diversi veicoli possono essere molto diversi in termini di geometria, potenza e performance complessiva, le caratteristiche delle componenti di accumulo al loro interno (tipologia di cella, tipologia chimica, modalità di assemblaggio delle celle, ecc.) rispondono a criteri costruttivi decisamente più limitati; ciò consente di ottenere delle unità di accumulo fondamentali (celle e/o moduli) piuttosto standardizzati, molto più facilmente testabili, potendo selezionare quelle in migliore stato per la produzione di nuovi pacchi “second life” affidabili e certificabili, sia in termini prestazionali che di durata.

Di contro, però, tale approccio presenta delle criticità, date soprattutto dalla necessità di dover aprire il pacco batteria (che può avere tensioni anche molto elevate), smontare i moduli e/o le celle e testarne lo stato di salute, o come si dice in gergo lo “state of health” (SOH).

Queste operazioni hanno chiaramente un costo, che deve necessariamente attestarsi al di sotto di un valore che renda il prezzo di vendita di un sistema storage “second life” molto più competitivo rispetto a quello di un sistema “first life”.

Per altro il costo delle batterie nuove è previsto in forte decrescita nei prossimi anni, dovendo verosimilmente assestarsi da qui ad 8-10 anni, intorno a 100$/kWh; ne consegue che un pacco storage “second life”, per poter essere competitivo, non potrà in futuro avere un costo superiore ai 70-75$/kWh.

Tali importanti aspetti non rendono purtroppo tutte le batterie parimenti reindirizzabili a “second life”, perché in funzione delle modalità costruttive del pacco, e quindi di una maggiore o minore facilità alla sua apertura e alla successiva estrazione delle componenti di accumulo, i tempi ed i costi di lavorazione possono essere molto diversi.

Inoltre, affinché un’attività come questa possa essere remunerativa, è certamente necessario l’utilizzo di linee di processo automatizzate e/o collaborative per ridurre i tempi di lavorazione, oltre che sufficientemente flessibili per poter operare su modelli diversi di pacchi batteria.

Il “second life” delle batterie è realmente un’opportunità, sia come potenzialità di creare nuovi mercati e nuovi posti di lavoro, sia come approccio al fine vita delle batterie dei veicoli elettrici che in ottica di economia circolare determini una mitigazione degli impatti ambientali connessi alla produzione primaria.

Si rende però necessario un maggior coordinamento degli attori della filiera per rendere più sostenibile ed efficiente questa possibilità, incoraggiando un coinvolgimento più deciso delle case automobilistiche e soprattutto favorendo la standardizzazione delle modalità costruttive dei pacchi batteria affinché le attività di smontaggio e di test risultino meno complessi (e quindi con costo minore).

Sul tema della standardizzazione dei criteri di produzione la bozza del nuovo Regolamento sulle batterie al momento in discussione tra Commissione, Parlamento e Consiglio Europei non contiene indicazioni esplicite, avendo un po’ tradito le aspettative iniziali che sembravano invece prevedere l’introduzione di linee guida, seppur generali, a supporto delle attività di manutenzione e “second life” della batteria.

La bozza, tuttavia, contiene altre previsioni di grande rilievo, come la garanzia di accesso alle informazioni contenute nel Battery Management System (BMS), la standardizzazione dei criteri di verifica dello SOH della batteria a scopi “second life” e il “passaporto elettronico” della batteria, quest’ultimo anche con la funzione di garantire la trasparenza del trasferimento della responsabilità del fine vita della batteria dal primo produttore (la casa automobilistica) al soggetto che la prenderà in carico per indirizzarla a “second life”.

Pertanto, sebbene ci sia ancora molto da fare a sostegno del “second life” delle batterie dei veicoli elettrici, i primi importanti passi si stanno sicuramente compiendo.