Luglio n°3 2019

Vintage car

Vintage car

Con lo sviluppo dell’elettrotecnica, nascono gli accumulatori al piombo acido che, dalla fine dell’Ottocento, alimentano le prime vetture elettriche. Una rivoluzione epocale.

L’elettrotecnica nata nell’anno 1800 con la pila di Volta, richiese molti esperimenti prima di ottenere generatori utilizzabili nella pratica della vita comune e non solo nei laboratori dei fisici.

A Parigi, polo dello sviluppo scientifico nella metà di quel secolo, i ricercatori più attenti compresero le potenzialità insite nel fluido elettrico “continuo” delle pile: correnti forti e stabili, ben più utili delle scintille dell’elettrostatica.

Seguì una intensa sperimentazione sulle “pile voltaiche”, costruite di volta in volta con metalli ed elettroliti diversi.

Ci vollero però sessant’anni per mettere a punto due invenzioni che per le loro doti di energia e praticità sono tuttora prodotte in miliardi di pezzi da attive e fiorenti industrie: l’accumulatore elettrico di Plantè e le pile di Leclanchè.

Gaston Plantè, nato a Orthez nel 1834, era un fisico di formazione accademica. Fu prima assistente al Conservatoire des Arts et Metiers e poi professore di fisica all’Associazione Politecnica per l’Istruzione Popolare. Nel 1860, il ventiseienne professore sperimentò nel suo laboratorio molti e diversi accoppiamenti di metalli ed elettroliti. Osservò che, fra tutti i metalli, il piombo era quello più idoneo per dare origine ad una pila con caratteristiche apprezzabili: innanzitutto gli elettrodi di piombo immersi in acido solforico si ossidavano al positivo costituendo una pila reversibile, che poteva cioè essere ricaricata, e poi la coppia piombo/acido solforico/biossido di piombo forniva una tensione di 2 volt stabile nel tempo. Nacque così un accumulatore elettrico efficace e poco costoso, lo stesso che ancora oggi avvia milioni di motori di autoveicoli.

Negli ultimi decenni dell’800 le automobili alimentate con accumulatori al piombo acido iniziarono a percorrere sotto gli occhi curiosi della gente, e quelli più allarmati delle forze dell’ordine, le polverose vie dei parchi cittadini. Le limitate prestazioni non rallentavano certo la crescita di un mercato che aveva fame di velocità. 

Nel 1881 Gustave Trouvè gira a Parigi con un triciclo elettrico, pochi mesi dopo è la volta di Berlino dove si sperimenta un autobus. Nel 1985 il francese Jeantaud produce e vende vetture elettriche con una autonomia di 30 km e una velocità di 20 km/h. A Londra e New York - siamo nel 1897 - vengono introdotti i taxi elettrici. 

Sono anni di grande fermento. Nascono le prime competizioni, talvolta non autorizzate, tra veicoli. In Francia, il Parco di Achères, nei pressi di Versailles, è teatro di numerose sfide grazie a un rettifilo lungo oltre un chilometro, ideale per lanciare i “nuovi mostri”. 

La sfida che passerà alla storia si svolse il 29 aprile del 1899. Dopo mesi difficili e senza risultati degni di nota, il belga Camille Jenatzy, detto “barone rosso” per via della sua barba fiammeggiante, riesce a risolvere i problemi della sua “Jamais Contente”, auto elettrica da lui stesso ideata e costruita. Più che un’auto, un siluro su quattro ruote Michelin con due motori elettrici da 25 Kw alimentati da pesanti batterie di accumulatori al piombo. 

Peso complessivo 1.450 Kg e uno spazio esiguo per il guidatore costretto in una posizione certamente non favorevole e contraria a ogni legge di aerodinamicità. 

Possiamo immaginare come in quella mattina di tiepido sole la vettura sfrecciò silenziosa tra due ali di muti spettatori, ancor più muto lo spericolato belga che lì si giocava la vita e l’onore. Forse c’era vento a favore che muoveva le foglie e accompagnava il siluro ma questo la storia non ce lo dice. Ci consegna invece una Jamais Contente che percorre fra la polvere il lungo rettifilo del parco di Achères ad una velocità folle. Il risultato strabilia: i cronometri indicano una media di 105,88 km/h! È il trionfo di Jenatzy.

Ma è nella natura dell’uomo essere “jamais contente”: dopo 105 anni un’altra vettura siluro, anch’essa elettrica - ma con batterie di diversa composizione - sfiora la barriera dei 500 km all’ora sulla pista del lago salato di Boneville, nello Utah. A progettarla, un gruppo di studenti dell’Università dell’Ohio sotto la guida di Giorgio Tizzoni, direttore del Center for AutoMotive Research (CAR).

Per la cronaca Georges Leclanchè invece è il padre delle pile che ancora equipaggiano gli apparecchi elettrici portatili. Nato a Parmain (Val d’Oise) nel 1839, studiò in Inghilterra ed alla Ecole Centrale des Arts et Manufactures, dalla quale uscì ingegnere nel 1860. Impiegato alla Compagnie des Chemins de Fer, si occupava di segnalazioni. Ma le pile da lui usate presentavano molti inconvenienti e ciò lo indusse a sperimentare nuove alchimie. Utilizzando elettrodi di zinco e carbone, cloruro d’ammonio come elettrolito e biossido di manganese come depolarizzante ottenne un sistema con migliore stabilità di tensione nel tempo. 

Anche in questo caso, inoltre, le materie usate erano poco costose e di facile reperibilità. Georges Leclanchè morì a soli 43 anni, ma la sua invenzione fu sviluppata su scala industriale dal fratello Maurice, che ricordiamo anche perché fu uno dei primi collezionisti dei dipinti degli impressionisti francesi, tra i quali i celebri Monet, Sisley e Pisarro.