Ormai la consapevolezza che gli esseri umani debbono preoccuparsi dell’ambiente in cui vivono è diventato un concetto diffuso, almeno nella maggioranza degli abitanti del mondo occidentale.
Ma se analizziamo le problematiche che oggi sono sulle agende di tutti i governi ci accorgiamo che le soluzioni non sono proprio facili.
Abbiamo ormai perso la battaglia per fronteggiare l’aumento della temperatura del pianeta: che l’aumento sia o no dovuto alle attività umane ormai è evidente che nei prossimi anni nulla cambierà rispetto alla situazione attuale delle emissioni in atmosfera da parte degli esseri umani:?l’avanzamento delle economie cinesi e indiane vanificheranno di fatto gli eventuali provvedimenti occidentali, supponendo che questi poi avvengano, perché sin’ora non c’è traccia di provvedimenti seri ma solo di impegni presi sulla carta e davanti ai microfoni.
Certamente è difficile per ogni governo intervenire sull’andamento economico del proprio Paese con provvedimenti tesi a limitare o addirittura ad annullare la propria dipendenza dalle fonti fossili.
Qualsiasi provvedimento se non studiato con opportuni accorgimenti compensativi va a danno delle classi sociali più deboli: rischiamo di avere provvedimenti economici ambientalmente sostenibili, ma senza alcuna sostenibilità sociale.
Le piazze piene di protestanti dalla Francia al Cile ci dimostrano come sia difficile questa via.
Per fortuna l’Europa ha già individuato da tempo una via sostenibile ambientalmente, socialmente ed economicamente ed i governi europei si apprestano a seguirla obbligati dalla direttiva ad hoc.
Si tratta semplicemente dalla implementazione dell’economia circolare.
Questo paradigma contiene in se tutta una serie di valenze positive.
Se applicata ad ogni segmento della nostra società l’economia circolare elimina i rifiuti, crea ricchezza dal riciclo del materiale fuori uso generando nuovi posti di lavoro, nuove attività industriali e persino nuovi studi e ricerche sia nella progettazione dei nuovi prodotti, sia per individuare i migliori processi per il loro riciclaggio.
Certamente anche qui non bastano le iniziative di uomini che sanno guardare al futuro, di aziende capaci di rinnovarsi e di strutture di servizi intelligenti: l’economia circolare obbliga tutta la società ad un grande senso di responsabilità, ogni anello della catena della filiera di un prodotto, dalla sua progettazione, al suo uso, alla raccolta quando la sua vita utile è terminata, al successivo riciclo delle materie prime che lo compongono e alla loro corretta commercializzazione. Tutto ciò richiede comportamenti responsabili per garantire il risultato finale.
La responsabilità più grande sta però in capo ai governi della nazioni: devono essere capaci di accompagnare lo sviluppo di questo nuovo modo di vivere l’economia e l’ambiente, aiutarlo, guidarlo e soprattutto non frapporre lacci e lacciuoli a chi innova ritardando lo sviluppo di una società capace di vivere più in armonia con il pianeta che la ospita.
Dobbiamo purtroppo constatare che sin d’ora un’opera di questo tipo non è stata patrimonio di nessuno dei nostri governi, spesso ambientalisti a parole ma quasi mai nei fatti.
Ci deve guidare la speranza che anche il burocrate più lento ed il politico più distratto si renda conto della necessità e dell’urgenza dei provvedimenti da prendere e di quelli da tralasciare per cercare di salvare la nostra società di Homini faber.