Marzo n°1 2023

Marini Industrie

Foto: Ufficio Stampa Marini Industrie

L’azienda Marini Industrie nasce a Prato e dal 1946 produce tessuti per i più rinomati brand del mondo. Fondata da Mario Marini e dal suo socio Enzo Cecconi, oggi l’azienda è alla terza generazione e investe energie e risorse nell’eco-design. “Per questo motivo - spiega l’attuale dirigente Francesco Marini - selezioniamo con cura le materie prime, prediligendo quelle certificate, riciclate o provenienti da coltivazioni bio. I nostri tre marchi sono Marini e Cecconi, Ospiti del Mondo e Assotex. Tra i prodotti di punta troviamo The Stretch Linen - un tessuto in lino elasticizzato che abbiamo inventato nei primi anni ‘90 - la lana lavabile e tracciabile H2Wool e i tessuti in cashmere riciclato ReLuxury”.

Abbiamo posto a Francesco Marini altre domande per conoscere meglio l’azienda e il suo impegno a favore della sostenibilità.

Quali progetti presenti e futuri state portando avanti?

“Nel 2016 abbiamo sottoscritto - tra i primi in Italia - il protocollo Detox proposto da Greenpeace con l’intento di “ripulire” la filiera moda da 11 sostanze ritenute dannose per l’ambiente e per la salute. Abbiamo raggiunto entro il 2020 l’obiettivo che ci eravamo prefissati e oggi continuiamo a camminare su questa strada producendo tessuti sempre meno impattanti dal punto di vista ambientale. Per esempio, abbiamo una linea interamente dedicata al cashmere riciclato: si chiama ReLuxury proprio perché rappresenta la nostra personale reinterpretazione del lusso tramite il riuso di fibre nobili come il cashmere. Non è tutto: grazie ad un distretto coeso e innovativo, le nostre produzioni possono contare su dei processi a umido in cui le acque reflue vengono riciclate e rimesse in circolo dall’impianto GIDA, uno tra i più efficienti d’Europa; basti pensare che l’impianto eroga annualmente oltre 4.000.000 mc di acqua riciclata.”

Ci racconti un’attività o una caratteristica peculiare della vostra azienda, che vi rende unici nel vostro settore.

“Credo che a distinguere la nostra realtà, oltre all’impegno profuso per ridurre l’impatto ambientale delle nostre creazioni, vi sia l’attenzione a estendere il concetto di sostenibilità a tutto ciò che avviene nella nostra azienda. Non a caso nel 2019, quando abbiamo cambiato sede, abbiamo scelto di costruire un edificio che innova il concetto stesso di fabbrica tessile: l’80% del fabbisogno energetico è coperto dall’impianto fotovoltaico che si trova sul tetto e tutti gli spazi sono stati concepiti per sfruttare al massimo la luce naturale e per garantire benessere chi vi lavora. Abbiamo una parete verde all’ingresso che ospita 11 diverse specie di piante e addirittura un orto dove coltiviamo i prodotti che utilizziamo per cucinare quando accogliamo i clienti a pranzo nella nostra foresteria. Il packaging che utilizziamo per inviare i nostri tessuti ai clienti, è 100% riciclato. Insomma, tante piccole scelte quotidiane che parlano della direzione che abbiamo intrapreso: quello di sostenibilità è un concetto sfaccettato che finisce per toccare tutti gli ambiti all’interno della nostra azienda.”

Qual è la vostra policy in termini di sostenibilità e come riducete l’impatto ambientale delle vostre attività? Quali difficoltà e opportunità pongono i diversi materiali che utilizzate nel percorso virtuoso rifiuto - riuso e/o riciclo?

“Basiamo il design dei nostri prodotti su un’attenta selezione delle materie prima e prediligiamo materiali riciclati o di origine organica. Il nostro obiettivo è quello di costruire entro il 2025 una collezione che possa essere interamente parte di un circolo virtuoso in grado di ridurre sensibilmente l’impatto che già l’industria della moda ha sull’ambiente. Certo è che per farlo occorrerà che siano adeguate alcune norme, una su tutte quella che vieta la presenza di Apeos nelle lane riciclate: se si va ad allungare il ciclo di vita di un prodotto, aumentandone la durata, occorre essere più ‘laici’ sul fronte delle analisi chimiche. Un’altra criticità è data dalla carenza di dati: molte componenti della filiera tessile – specialmente le realtà più piccole e a conduzione familiare - necessitano ancora della giusta formazione per consentire un monitoraggio serio e stretto sulle emissioni e sui goals che imposteremo.

Tornando ai progetti che stiamo portando avanti, siamo particolarmente orgogliosi di far parte dell’alleanza europea RegioGreenTex (Region for Green Textiles), il progetto triennale partito da Bruxelles con l’ambizione di creare una catena di valore per il riciclo dei tessuti. Si tratta di un nuovo tassello all’orizzonte dello smaltimento sostenibile nella filiera fashion e riunisce 40 partner da 11 regioni di 8 Paesi europei.”

Quali ragioni vi hanno portato ad aderire a Cobat Tessile?

“Perché Cobat dovrebbe rappresentare l’intera filiera produttiva, una volta introdotto l’EPR. Su questo aspetto serve il coinvolgimento di tutti proprio per incentivare al massimo il recupero, il riciclo e il riuso dei materiali tramite buone pratiche che diano vita a nuovi progetti virtuosi. Del resto la partita dell’EPR sarà fondamentale perché alla base della strategia del Tessile europeo: abbiamo di fronte la sfida di potenziare il riciclo e il riuso, evitando il consumo di nuova materia prima; applicare bene questa norma significa anche creare opportunità e nuovi modelli di business.”

Qual è la vostra opinione sulla normativa italiana e europea in riferimento ai rifiuti tessili?

“Al momento manca una normativa che regoli il cosiddetto End of Waste, manca cioè la definizione di quando un materiale diventa a tutti gli effetti materia prima seconda. A questo proposito, è fondamentale armonizzare il quadro normativo a livello europeo per non creare false partenze o dislivelli sul fronte della competitività. Lo stesso EPR europeo dovrà trovare un riscontro immediato nella normativa italiana.”

Secondo voi, quali provvedimenti, prassi e norme potrebbero essere di sostegno alla vostra attività per migliorarne la sostenibilità?  

“Per migliorare la sostenibilità, e anche per poter crescere, occorrerebbe incentivare in generale l’uso di materiali riciclati tramite l’applicazione di appositi sgravi fiscali o - perché no - con l’obbligatorietà di utilizzare una percentuale di materiale riciclato a partire dagli appalti pubblici. In questo modo le aziende sarebbero incentivate ad adeguarsi e ad investire con la prospettiva di un nuovo mercato che va ad aprirsi. Inoltre, ribatto sulla necessità di incentivare ricerca e formazione. Non dimentichiamo che - come nel caso di Prato - le filiere tessili sono frammentate e spesso composte da piccole realtà, tutte strettamente interconnesse tra loro. Per questo occorrono incentivi per rafforzare queste collaborazioni, partendo magari dalle aziende capo-filiera. Formazione adeguata, sensibilizzazione, norme chiare e meno burocrazia, sono gli altri elementi che meritano un potenziamento. Infine, per poter misurare l’effettiva sostenibilità di una lavorazione, serve uno standard ben definito in modo da evitare interpretazioni differenti della certificazione o del criterio utilizzato.”