Maggio n°1 2022

COBAT TYRE RISULTATI E OBIETTIVI

Foto: Emanuela Fagioli, Archivio Cobat, Adobe Stock

Da oltre tre anni è in prima linea per dare una nuova vita agli pneumatici fuori uso, promuovendo l’economia circolare e la difesa dell’ambiente. Stiamo parlando di Cobat Tyre, società consortile regolamentata dal Decreto ministeriale 19 novembre 2019, n. 182, e specializzata nella raccolta e riciclo di PFU. Cobat Tyre si avvale dell’esperienza trentennale di Cobat nella gestione dei rifiuti e ai propri soci mette a disposizione una serie di servizi integrati e personalizzati di raccolta, trattamento e avvio al riciclo.

La sua mission è quella di rendere i produttori e gli importatori di pneumatici protagonisti della circular economy, trasformando i loro prodotti giunti a fine vita in nuove materie prime. Trasparenza, efficienza e sostenibilità sono i valori che consentono a Cobat Tyre di aiutare le aziende a perseguire uno sviluppo sostenibile che apporti benefici non solo all’ambiente, ma anche all’intero sistema economico nazionale. Ma quali sono i risultati raggiunti in questi primi anni di vita, quali le problematiche da affrontare nel settore del riciclo pneumatici e quali le prospettive per il futuro? Lo abbiamo chiesto in questa intervista a Luigi De Rocchi, presidente di Cobat Tyre, spaziando anche su altri temi come la recente crisi covid, il ruolo dei progressi tecnologici e la situazione della raccolta PFU in Italia. De Rocchi riveste anche la carica di Responsabile dell’area Research and Development (Ricerca e Sviluppo) di Cobat.

Quando inizia l’avventura di Cobat Tyre e quali sono i risultati e gli obiettivi raggiunti in questi primi anni di attività?

Cobat Tyre viene costituito nel 2018, ma la sua attività operativa inizia formalmente a gennaio del 2019. Cobat Tyre è quindi entrato nel mondo degli pneumatici fuori uso (o PFU) molto di recente, sebbene il suo ingresso nel settore sia avvenuto in modo piuttosto deciso con una quota di raccolta da dover gestire pari circa a 30.000 tonnellate. Organizzare una filiera in pochissimo tempo per la gestione di simili quantitativi è stato piuttosto sfidante, ma ci siamo riusciti potendo contare sull’esperienza trentennale di Cobat. Inoltre l’avvio di Cobat Tyre ha rappresentato un’ulteriore evoluzione del processo di diversificazione di Cobat già iniziato con la costituzione di Cobat RAEE, il consorzio per la gestione dei rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche.

Il bilancio di questi primi tre anni di attività è sicuramente positivo, sebbene gli ultimi due abbiano fortemente risentito degli impatti generati dalla crisi pandemica e dal foÅrte ridimensionamento dei consumi che ha inevitabilmente coinvolto anche il mercato degli pneumatici. Malgrado ciò, Cobat Tyre ha saputo brillantemente gestire queste criticità continuando sempre a garantire, secondo i migliori standard di efficienza, lo svolgimento del servizio di ritiro dei PFU.

Proprio in merito al servizio di ritiro dei PFU, qual è attualmente la situazione generale della filiera del ricambio, soprattutto a fronte delle criticità rappresentate da più parti per le mancate raccolte di PFU?

Il tema è noto da tempo ed è stato oggetto di attenzione anche da parte del Ministero dell’Ambiente (attualmente MiTE) il quale, a dicembre dello scorso anno, ha adottato un provvedimento facendo obbligo a tutti i sistemi di gestione (compresi i sistemi individuali), di raccogliere nel 2021 ulteriori quantità di PFU nella misura incrementale del 15% oltre i propri obiettivi (questi ultimi pari al 95% dell’immesso a consumo nell’anno precedente), avendo facoltà di rideterminare l’entità del contributo ambientale per queste nuove quantità.

Tale disposizione è stata confermata anche per il 2022. Più recentemente il problema della mancata raccolta dei PFU è stato anche oggetto di una interrogazione parlamentare in Commissione Ambiente alla Camera.

Ritiene che il provvedimento del Ministero sia stato risolutivo?

Soltanto in parte. Certamente sono stati raccolti più PFU, ma come anche riportato nel provvedimento del Ministero, le cause che generano la mancata raccolta in Italia hanno soprattutto origine da attività di immissione irregolare di pneumatici sul territorio nazionale e da false esportazioni, non già da inadempienze da parte dei sistemi di gestione, i quali, rendicontando per legge al Ministero i risultati della propria attività, operano in massima trasparenza. La criticità della mancata raccolta dei PFU sul territorio nazionale non è quindi responsabilità dei sistemi di gestione, e non andrebbe fatta ricadere sugli stessi. Inoltre tale disposizione agisce sugli effetti, ma non sulle cause del problema, che invece risiedono a monte della filiera.

Quale potrebbe essere quindi la soluzione?

Probabilmente non esiste un’unica soluzione per risolvere questo problema che in verità trae origine da una sommatoria di diversi fattori. Al momento Assogomma di Confindustria sta coordinando un tavolo di lavoro al quale prendono parte i produttori, i sistemi di raccolta e le associazioni di categoria degli installatori e dei ricostruttori, con l’obiettivo di proporre una soluzione che consenta di tracciare gli pneumatici dalla loro immissione su mercato sino a quando, dovendo essere sostituiti, generano i PFU. Così facendo, si abiliterebbero alla raccolta soltanto quei PFU prodotti da pneumatici di cui si possa certificare la tracciabilità e l’avvenuto versamento del contributo ambientale. Il sistema si basa sull’implementazione di una piattaforma informatica a modello “blockchain” che sarebbe finanziata con il contributo ambientale e messa a disposizione del MiTE prevedendo una fase iniziale di sperimentazione. La soluzione proposta dal tavolo di lavoro può essere sostenibile, bisognerà poi vedere secondo quali criteri dar corso alla sua implementazione ed anche in quali tempi.

Ad ogni modo ci sono diverse altre criticità nella filiera (alcune delle quali contribuiscono in via più indiretta al problema della mancata raccolta), per la cui soluzione sarebbe però necessario affrontare un revisione del D.M. 182/19, operazione per la quale si renderebbe opportuna la creazione di un tavolo di lavoro a coordinamento del MiTE.

A quali criticità si riferisce, in particolare?

Ve ne sono alcune di importanza cruciale. La prima è relativa alla mancata partenza del Registro Nazionale dei Produttori, un registro informatico che si sarebbe dovuto istituire mediante decreto presso il MiTE ma che non ha ancora visto la luce. Al Registro hanno obbligo di iscriversi i Produttori/Importatori, dovendo rendicontare annualmente le proprie quantità immesse a mercato e quelle raccolte. Registri Nazionali analoghi sono stati adottati in altre filiere, come in quella della Pile ed Accumulatori e dei RAEE, consentendo agli organi preposti di poter verificare le dichiarazioni di immesso di tutti i produttori/importatori e la loro congruenza con i dati in possesso dei sistemi di raccolta. Il Registro pertanto è un sistema di tracciabilità che se opportunamente utilizzato, anche dalle autorità di vigilanza e controllo, consente di monitorare con maggiore efficacia i flussi di pneumatici immesso sul mercato e quindi le responsabilità di raccolta ascrivibili ai produttori/importatori e ai sistemi di raccolta.

Altra criticità è data dagli obiettivi di raccolta regionali o per macroarea previsti dal decreto; i target indicati non hanno una relazione diretta con le reali produttività di PFU delle aree individuate, ed andrebbero riparametrati in modo diverso. In ultimo, una criticità davvero importante è rappresentata dai criteri in base ai quali si determina l’obbligo di raccolta annuale a carico dei sistemi.

Il target di raccolta, infatti, è pari al 95% in peso dell’immesso dell’anno precedente (al netto delle raccolte incrementali introdotte dal 2021), dovendosi finanziare mediante il contributo ambientale riscosso però nell’anno in corso. Questo criterio funziona bene soltanto a condizione che da un anno all’altro non si verifichino delle significative contrazioni nelle vendite e quindi nei proventi derivanti dalla riscossione del contributo ambientale.

Se durante l’anno in corso le vendite dei produttori aderenti al sistema registrano un forte calo, il che può accadere per fattori esogeni (pandemia, crisi nei consumi, ecc.) o endogeni (calo delle vendite da importazione, cessazione attività, ecc.), il conseguente ammanco sugli incassi da contributo ambientale può determinare, per il sistema di raccolta, la gestione di un target sovradimensionato rispetto alle proprie capacità economico-finanziarie. In questi casi si può intervenire incrementando il valore del contributo ambientale, ma quando l’entità della contrazione delle vendite si spinge oltre una certa soglia ed il sistema di raccolta, come Cobat Tyre, è molto giovane e quindi privo di significative riserve, l’incremento necessario rischia di compromettere la competitività dei suoi produttori/importatori soci, costretti ad applicare un contributo ambientale fuori mercato rispetto ai loro competitor aderenti a sistemi con maggiore storicità e con maggiori avanzi di gestione per poter fronteggiare la crisi delle vendite.

Questo problema potrebbe essere agevolmente superato facendo in modo che il target di raccolta si determini non già sull’immesso a mercato dell’anno precedente, bensì dell’anno corrente, dal momento che il finanziamento della raccolta deve provenire per legge dalla riscossione del contributo ambientale nell’anno in corso. Per altro il D.M. 182/19 ha già introdotto questo regime per i produttori neo-operanti (ossia per i produttori/importatori che iniziano la propria attività nell’anno in cui il contributo ambientale viene determinato ed applicato per la prima volta), per cui potrebbe essere facilmente esteso anche ai produttori/importatori storici.

Cobat Tyre è impegnato anche nella gestione dei PFU da autodemolizione. Qual è la situazione in questo settore?

Il settore dell’autodemolizione è regolamentato in modo completamente diverso dal settore del ricambio. La differenza sostanziale riguarda il finanziamento della filiera, che in questo caso si alimenta mediante la riscossione di un contributo da parte del rivenditore del veicolo nuovo successivamente versato in un fondo costituito presso l’ACI. Il fondo è gestito da un apposito Comitato, il quale rimborsa i sistemi di raccolta mensilmente sulla base degli ordini di raccolta evasi presso gli autodemolitori.

Il volume dei PFU da autodemolizione rappresenta meno del 10% del volume dei PFU da ricambio (circa 30.000 tonnellate). In questo segmento siamo cresciuti, ed oggi ci attestiamo intorno al 15%; l’obiettivo è quello di chiudere il 2022 incrementando la nostra quota di raccolta tra il 20 ed il 25%.

Lei, oltre che Presidente di Cobat Tyre, riveste anche il ruolo di responsabile dell’area R&D di Cobat. Quali nuove opportunità, sotto l’aspetto tecnologico, potrebbero esserci in futuro per il recupero dei PFU?

Il recupero dei PFU è una cosa molto complessa, perché la miscela dello pneumatico viene realizzata con ricette che impiegano molte componenti ed il processo di vulcanizzazione rende irreversibili, o difficilmente reversibili, alcuni processi fisico-chimici; per questo motivo non è oggettivamente concepibile (almeno al momento) l’ottenimento di nuova materia prima seconda con le stesse caratteristiche di quella originaria.

Tuttavia sperimentazioni di de-vulcanizzazione della gomma sono già oggi una realtà; anche se le proprietà della gomma de-vulcanizzata non tornano ad essere quelle originarie, esiste la possibilità di un suo riutilizzo come materiale per nuove applicazioni o anche come componente accessoria alla mescola vergine per la produzione di nuovi pneumatici. Ad ogni modo, in questo settore c’è ancora molto da fare.

Ad oggi il recupero di materia del PFU, una volta estratto l’acciaio armonico e la componente tessile, consiste nella produzione di granulo e polverino che viene impiegato principalmente come intasante dei campi sportivi sintetici, prodotti per l’edilizia (pannelli isolanti acustici e antivibrazioni), superfici sportive e campi giochi.

Un altro impiego di grande importanza è quello dell’utilizzo del polverino nei bitumi modificati, che conferisce all’asfalto ottime caratteristiche prestazionali in termini di durabilità, capacità drenante, diminuzione del rumore da rotolamento degli pneumatici e maggiore sicurezza dei veicoli in frenata per il maggiore grip dell’asfalto. Purtroppo questo impiego, che sarebbe un’ottima soluzione capace di assorbire notevoli quantitativi di polverino, in Italia stenta a decollare; dovrebbe invece essere sostenuta, anche mediante l’introduzione di un obbligo nei capitolati pubblici affinché una percentuale minima di rifacimento del manto stradale implementi questa tecnologia.

In ultimo, si stanno recentemente affermando delle nuove tecnologie di recupero chimico dei PFU, come ad esempio la pirolisi, che consente una valorizzazione energetica della gomma di grande interesse, ma anche in questa direzione si deve ancora investire in ricerca e sviluppo per rendere realmente fruibili queste soluzioni.