Dicembre n°5 2019

Michele Zilla

Ancora troppe criticità nel riciclo dei rifiuti

Il settore dispone di tecnologie e di operatori dinamici ma fatica a operare in modo omogeneo sul territorio: è una macchina con un buon potenziale che non riesce a esprimere.

Non basta raccogliere rifiuti. Per farli sparire dalle nostre strade e per far partire ‘l’economia dei rifiuti’ serve un sistema di trattamento e recupero che ancora mostra la corda. In Italia la raccolta differenziata aumenta con un buon ritmo, passando dal 55,9% del 2017 al 58,8% del 2018. I maggiori player del settore si rafforzano e crescono. Prosegue l’integrazione tra il comparto della raccolta e quello della selezione e valorizzazione de materiali. Ma le criticità non mancano: gli investimenti restano concentrati nei territori più avanzati; alcuni operatori minori sono in difficoltà; calano le operazioni straordinarie, anche a causa dell’incertezza nelle policy del nostro Paese. E soprattutto rimane il deficit di trattamento dei rifiuti alternativo alla discarica: gli impianti per la frazione organica sono mal distribuiti sul territorio e, in assenza di nuove costruzioni, al 2035 si perderà circa metà dell’attuale capacità di termovalorizzazione. 

Il settore dispone di tecnologie e di operatori dinamici ma fatica a operare in modo omogeneo sul territorio: è una macchina con un buon potenziale che non riesce a esprimere. Questo lo scenario che emerge da “L’industria del waste management in Italia”: quadro competitivo, scenari impiantistici, innovazione, l’Annual Report 2019 di WAS, il think tank sulle strategie di gestione dei rifiuti di Althesys, presentato a fine novembre a Roma e discusso da un gruppo di esperti, stakeholder e rappresentanti delle istituzioni tra cui: Stefano Saglia, ARERA; Enrico Quaranta, AGCM; Alessandro Bratti, Ispra; Giovanni Vivarelli, Acea Ambiente; Michele Rasera, Contarina; Maurizio Giani, HERAmbiente; Alessandro Cecchi, IREN; Michele Zilla, Cobat; Massimo Centemero, Consorzio Italiano Compostatori; Chicco Testa, Fise Assoambiente; Filippo Brandolini, Utilitalia; Chiara Braga, Commissione Ambiente Camera dei Deputati; Paolo Arrigoni, Commissione Ambiente Senato. 

“Il patrimonio impiantistico rimane uno dei nodi centrali delle strategie aziendali e, più in generale, di una politica di gestione dei rifiuti nel nostro Paese”, spiega Alessandro Marangoni, AD di Althesys. “Il gap infrastrutturale di cui tuttora soffrono alcune Regioni e la mancanza di un’opportuna pianificazione di medio-lungo termine hanno generato negli anni ingenti costi economici e ambientali, sia per le imprese che per il sistema nel suo complesso. È, perciò, necessario sviluppare un’analisi di adeguatezza che consenta di pianificare e realizzare per tempo gli investimenti necessari per superare situazioni di emergenza permanente”. 

L’analisi del WAS Report 2019 considera diversi scenari di produzione di rifiuti e la possibile evoluzione futura del parco impianti. In particolare, i termovalorizzatori non hanno visto incrementi significativi negli ultimi anni: gran parte di quelli previsti è rimasta sulla carta così che, senza nuove costruzioni, al 2035 si perderà circa la metà dell’attuale capacità. Ed è proprio il 2035 l’anno in cui, secondo le direttive UE sull’economia circolare, dovremo raggiungere l’obiettivo del 65% di recupero di materia dai rifiuti urbani e il limite del 10% al loro smaltimento in discarica. Occorre, quindi, disporre degli impianti necessari al trattamento della frazione organica e per il recupero energetico. 

Le infrastrutture dovranno crescere perché il raggiungimento dei target UE al 2035 comporterà un aumento sensibile della raccolta differenziata (dal 55,5% del 2017 al 76% del 2035) e del riciclo (dal 42% al 65%), ma anche del recupero energetico (dal 18% al 25%).  

In ogni scenario di produzione di rifiuti urbani (da un minimo di 28,3 milioni di tonnellate a un massimo di 32,7 milioni di tonnellate), il Rapporto WAS evidenzia l’esistenza di un deficit nazionale tra la capacità autorizzata per la termovalorizzazione e il fabbisogno al 2035, che varia da poco più di 1 milione di tonnellate a circa 2. A questo va aggiunto un deficit di circa 3 milioni di tonnellate dovuto all’invecchiamento degli impianti in caso di mancata sostituzione.  

Per l’organico, invece, si delinea una situazione diversa, caratterizzata da un’inadeguatezza della distribuzione territoriale piuttosto che da un deficit nazionale.  

 “La transizione verso l’economia circolare sta tuttavia accelerando sia nel trasformare l’industria del riciclo “storica”, sia spingendo l’innovazione e la convergenza tra settori diversi. La prima (dove l’Italia vanta posizioni da primato), si sta sempre più confrontando con le dinamiche dei mercati globali delle commodities, dove la volatilità di prezzi e volumi dei recovered material possono condizionare la sostenibilità economica del riciclo. D’altra parte, l’innovazione tecnologica e l’ingresso di nuovi player provenienti da business differenti, come la chimica e l’energia, stanno cambiando le regole del gioco, con una crescente convergenza tra comparti e la nascita di nuovi processi industriali e diversi segmenti dell’economia circolare”, conclude Marangoni.