L’economia circolare chiamò (e continua a farlo), ma l’Italia s’è desta? È in sostanza quello che si chiede la prima edizione del Circular economy report, redatto dall’Energy&Strategy Group della School of Management del Politecnico di Milano
Il dossier parte dai numeri. A livello europeo ci sono 454 miliardi di euro di fondi strutturali e di investimento per oltre 500 programmi in tutto il continente, più 183 miliardi di cofinanziamenti nazionali da parte degli Stati membri (637 miliardi in totale), cui si aggiungono i 26 a carico del bilancio dell’Unione europea e i 7,5 dell’Eib-European investment bank dedicati al fondo europeo per gli investimenti strategici. Per finire, i 900 miliardi stanziati dalla Commissione europea con il cosiddetto Recovery Plan per la transizione ecologica nel prossimo decennio, di cui l’economia circolare è uno dei cardini.
E l’Italia? Ci sono i 4,24 miliardi di euro per investimenti pubblici stanziati con la Legge di Bilancio 2020 a favore del Green New Deal, dove sono presenti anche interventi di economia circolare. Inoltre, a giugno il ministero dello Sviluppo Economico ha avviato il finanziamento alle imprese per la riconversione delle attività produttive verso un modello circolare, mettendo sul piatto 157 milioni di euro in finanziamenti agevolati e 62,8 in contributi alla spesa.
Insomma, le risorse ci sono, o quantomeno iniziano a esserci. Il problema è capire come si spenderanno.
In Italia – spiega Davide Chiaroni, vicedirettore dell’E&S Group e curatore dell’indagine - "non c’è ancora un ecosistema circolare di player che lavorino insieme e spingano intere filiere tecnologico-produttive verso il nuovo approccio industriale. A mancare sono soprattutto le piattaforme, ossia gli attori deputati a costituire un bilanciamento tra la domanda e l’offerta di prodotti, materiali o risorse, creando mercati che facilitino la circolazione delle risorse all’interno del sistema. La totale assenza di questi attori, salvo sporadici casi ed ancora embrionali, rappresenta una limitazione fortissima".
Per fare una prima mappa e capire se l’Italia è davvero pronta per questo passaggio epocale, l’E&S Group ha condotto un’analisi dettaglia coinvolgendo oltre 150 imprese in 4 macro-settori industriali: costruzioni (opere di ingegneria civile o lavori di costruzione specializzati), automotive (progettazione, costruzione e vendita di veicoli o componenti), impiantistica industriale (realizzazione di apparecchiature elettriche o macchinari destinati all’industria), resource & energy recovery (recupero e smaltimento di rifiuti biologici, gestione di impianti per la produzione di energia elettrica attraverso biomasse).
Risultato? Il 62% delle aziende intervistate ha implementato almeno una pratica di economia circolare o è stata di supporto ad altre imprese nelle loro iniziative circolari (10%). Il 14% ha già intenzione di adottare almeno una pratica di economia circolare nel prossimo triennio. Quelle completamente indifferenti al tema sono soltanto il 24%.
A trainare i pionieri dell’economia circolare italiana è, secondo lo studio, il settore resource & energy recovery, mentre l’automotive si sentirebbe (o quantomeno si percepirebbe) ancora legato a logiche di tipo lineare all’interno dei propri processi, mentre remanufacturing, riuso e disassemblaggio non sono ancora pratiche diffuse.
Il report, infine, va ad indagare i motivi che hanno portato le aziende verso l’economia circolare: se da una parte la presenza di incentivi, leggi e regolamenti ha aiutato, dall’altra la spinta arriva dalla necessità di una nuova visione manageriale e imprenditoriale.