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Foto: Archivio Cobat e Adobe Stock
Ancora tante sfide da vincere sul fronte del riciclo
Il riciclo è un pilastro fondamentale dell’economia circolare e deve riguardare sempre più materiali, compreso il tessile. Lo ricorda l’ex ministro dell’Ambiente Edo Ronchi nell’ultimo report “Il riciclo in Italia” curato dalla Fondazione per lo Sviluppo sostenibile con il patrocinio di Ispra, Ministero dell’Ambiente e Snpa. Un documento dettagliato nel quale, grazie ai dati analizzati da uno staff di esperti con il sostegno di aziende e consorzi del settore, vengono illustrate le situazioni italiana ed europea sul fronte del recupero dei materiali e le normative che ne regolano il fine vita, compresi i tessuti. “Con questa nuova edizione avviamo una versione più approfondita dell’analisi del riciclo in Italia, con l’idea di renderla adeguata alle prossime sfide - si legge nell’introduzione firmata da Edo Ronchi, presidente della Fondazione per lo Sviluppo sostenibile - L’industria del riciclo rappresenta, per diversi aspetti, un’eccellenza in Europa, nonché un comparto rilevante e strategico del sistema produttivo nazionale che, negli ultimi 25 anni dopo l’entrata in vigore del D.Lgs. 22/97, ha conosciuto una costante e significativa crescita, quantitativa e qualitativa”.
Molto interessanti in merito al riciclo del tessile anche i dati riportati nello studio di EconomiaCircolare.com intitolato “Sfide per un tessile circolare: dall’Ecodesign alla seconda vita dei materiali”.
Il messaggio che emerge da questi documenti e da altre ricerche del settore è chiaro: se rispetto alla gestione del fine vita di diversi materiali
l’Italia si dimostra da tempo virtuosa, anche più di altri Paesi UE, per quanto riguarda il riciclo di abbigliamenti e tessuti c’è ancora un percorso significativo da fare per raggiungere gli obiettivi - ambiziosi, ma necessari - fissati da Roma e Bruxelles. Un elemento positivo da cui partire però c’è già e consiste nella capacità delle imprese italiane di moda e tessile di mettersi in gioco ed evolversi per favorire la sostenibilità dei propri prodotti e processi.
“Da alcuni anni l’industria della moda ha intrapreso un percorso complesso con un obiettivo chiaro, seppur non facile da raggiungere: ridurre la propria impronta ambientale - sottolinea Aurora Magni, docente universitaria e giornalista, nel report di EconomiaCircolare.com - Quali fattori abbiano sollecitato quello che potrebbe essere un cambiamento radicale nell’identità stessa del comparto è oggetto di studi e riflessioni. Merito dei consumatori più sensibili, della generazione Z e dei social media o più pragmaticamente delle direttive europee? Sta di fatto che argomenti tabù o considerati marginali nello storytelling della moda nei decenni scorsi, sono oggi nell’agenda e nei bilanci di sostenibilità di brand e imprese, ne delineano gli obiettivi e le strategie. E in questo cambiamento di prospettiva il prodotto, e quindi il design, avranno sempre più un ruolo fondamentale”.
In questo scenario un ruolo chiave è svolto dal piano d’azione dell’Unione Europea per l’economia circolare che detta la linea introducendo target mirati per alcuni settori di rifiuti, tra i quali RAEE, carta e cartone, plastica e tessile. Da qui la scelta di prevedere investimenti per favorire politiche industriali volte a dare una nuova vita agli scarti. In Italia il Ministero della Transizione Ecologica ha approvato la Strategia Nazionale per l’Economia Circolare (SEC) in ottemperanza a quanto previsto dal PNRR. È un documento programmatico che individua gli obiettivi da perseguire, entro il 2035, nella definizione delle politiche istituzionali per un’effettiva transizione a un’economia di tipo circolare. “Da evidenziare anche lo sviluppo e l’aggiornamento dei regolamenti End of Waste (cessazione qualifica di rifiuto) e dei criteri ambientali minimi (CAM) negli appalti pubblici che riguarderà in particolare l’edilizia, il tessile, la plastica, i rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche” - viene specificato nel rapporto della Fondazione per lo Sviluppo sostenibile.
Secondo i dati ISPRA, in Italia nel 2020 la raccolta dei rifiuti tessili ha sfiorato le 143mila tonnellate (-9% rispetto al 2019). Dei quantitativi raccolti, l’89% è costituito da rifiuti di abbigliamento e l’11% da altri materiali tessili (stracci, imballaggi tessili, tappeti, coperte). Nel 2020 oltre il 70% dei Comuni italiani ha attivato sistemi di raccolta della frazione tessile. Secondo le stime dell’Istituto, basate sulla composizione merceologica dei rifiuti, il 5,7% dei rifiuti indifferenziati è ancora composto da scarti tessili che potrebbero invece essere recuperati. Il numero di comuni con una raccolta differenziata dei tessili superiore ai 5,5 kg/ab è pari a solo il 10,3% del totale: è dunque evidente come le raccolte siano ampiamente migliorabili.
Per quanto riguarda invece il contesto Europeo, la Direttiva quadro sui rifiuti prevede un obbligo di raccolta differenziata dal 2025 e la Commissione ha avviato i lavori per un regolamento sulla cessazione della qualifica di rifiuto (End of Waste) per i rifiuti tessili. Si può stimare un consumo totale di tessuti di 6,6 milioni di tonnellate di prodotti tessili in Europa, pari a circa 15 kg pro capite. Il consumo di prodotti tessili in Europa (in larga parte di importazione) è oggi il quarto maggiore impatto negativo sull’ambiente e il terzo per quanto riguarda l’uso di acqua e del suolo. L’industria tessile riveste un ruolo cruciale anche nell’inquinamento da microplastiche delle acque. Per effetto del lavaggio dei prodotti tessili e dei capi di abbigliamento, vengono infatti rilasciate nei mari elevate quantità di microfibre di origine sintetica con danni all’ecosistema.
Un tema, quello del forte impatto del tessile sull’ambiente, ripreso anche nei Quaderni di EconomiaCircolare.com citando Fonti ONU secondo le quali: “Si stima che per produrre una classica T-shirt in cotone servano ben 2.700 litri di questa preziosa risorsa, una quantità in grado di soddisfare la sete di una persona per due anni mentre occorrono circa 7.500 litri d’acqua per realizzare un singolo paio di jeans, l’equivalente della quantità di acqua che una persona media beve all’incirca in sette anni”.
Tornando al nostro Paese, il settore dell’abbigliamento comprende quasi 50.000 aziende e circa 400.000 addetti, e costituisce una componente fondamentale del tessuto economico italiano. Tale filiera è parte del macro-settore moda, a cui appartengono anche i settori calzature, pelle, pelliccia, occhiali e gioielli. Tale aggregato economico comprende nel complesso 63.000 aziende, con un totale di 555.000 addetti, che hanno realizzato nel 2020 un fatturato totale di 75 miliardi di euro. Dal 1° gennaio 2022 vige l’obbligo di raccolta differenziata dei rifiuti tessili: in Italia viene svolta dal sistema pubblico sin dagli anni ‘90. La normativa pone gli scarti tessili tra i rifiuti urbani. Le stime di Ispra ed Eurostat indicano che l’immesso al consumo annuo pro capite varia da 12,7 a 16 kg/abitante all’anno, che moltiplicato per i circa 60 milioni di italiani dà tra 760.000 e 957.000 tonnellate.
Infine un focus sul quadro normativo, illustrato sempre nel report “L’Italia e il riciclo”, evidenziando le principali disposizioni per la filiera tessile a fine 2022. Nel decreto legislativo 152/06, il Testo unico ambientale, si prevede, tra le altre cose, quanto segue. 1) Programma nazionale di prevenzione dei rifiuti: dovrà essere aggiornato e contenere misure rivolte all’istituzione di sistemi che promuovano attività di riparazione e riutilizzo anche per il tessile. 2) Responsabilità estesa del produttore (EPR): le disposizioni saranno allargate a tutti i principali beni di consumo e anche ai settori dell’abbigliamento, calzature e tessile da casa. 3) Rifiuti tessili: sono “rifiuti urbani” sia quelli da utenze domestiche sia quelli da altre fonti (attività artigianali, commerciali o di servizio) purché simili per natura e composizione, quindi soggetti agli obiettivi di “preparazione per il riutilizzo, riciclaggio e recupero” prevista per gli urbani, e cioè 55% entro il 2025, 60% entro il 2030 e 65% entro il 2035. 4) Raccolta differenziata: per i rifiuti tessili, a partire dal 1° gennaio 2022 è vigente l’obbligo di raccolta differenziata per tutti i Comuni italiani. 5) Centri di raccolta e riuso: per facilitare il riutilizzo di indumenti usati, i Comuni e gli altri Enti d’ambito sono tenuti ad allestire appositi spazi destinati al deposito preliminare alla raccolta di scarti tessili, a fini di riuso o di scambio diretto tra privati di beni usati.